Visione dei seguenti film documentari: “Les maîtres fous” (1954), di Jean Rouch (36 min.); “Tarantula” (1962) di Gianfranco Mingozzi (musiche di Diego Carpitella, consulenza di Ernesto de Martino, commento di Salvatore Quasimodo) (18 min.); “Vincenzo da Crosia” (2015) di Fabio Mollo (82 min). Gli studenti che non riuscissero a recuperare i film indicati possono scrivere al docente per avere indicazioni in merito.
Il corso presenterà le prospettive teoriche, cliniche e metodologiche che legano le discipline psicologico-psichiatriche al concetto di cultura. Al centro di tali prospettive emerge l'attenzione posta sul ruolo dei processi migratori per la comprensione delle evenienze psicopatologiche e dei processi di cura che ne conseguono. Particolare attenzione verrà posta sui dispositivi etnoclinici sviluppati dall'etnopsichiatria contemporanea.
Il corso avrà l’obiettivo generale di introdurre allo studente le origini, gli sviluppi e gli eterogenei approdi della riflessione disciplinare intorno alle espressioni della malattia mentale, delle sue pratiche di cura e al ruolo che vi esercitano la cultura e le dinamiche sociali. Necessaria premessa a questo obiettivo è una riflessione epistemologica sulla storicità e la produttività delle premesse teoriche che fondano le discipline psicologico-psichiatriche, così come altri sistemi di cura della sofferenza psichica.
Ulteriore obiettivo del corso sarà quello di familiarizzare lo studente con il dibattito teorico-clinico interno alla riflessione etnopsichiatrica sulle differenti forme di efficacia (biologica e simbolica) dei processi di cura. A tal fine verranno preliminarmente approfondite le acquisizioni dell’antropologia medica contemporanea, che restituisce una comprensione della malattia come uno snodo nel quale fenomeni biologici, politico-economici e socio-culturali di determinano reciprocamente.
Infine, obiettivo cardine del corso sarà quello di tematizzare criticamente alcuni possibili equivoci che, in passato come oggi, spesso condizionano la riflessione sul rapporto tra cultura ed esperienza di malattia. In primis quello di comprendere la cultura come un qualcosa che “abbiamo” e non invece come qualcosa che “facciamo” e dal quale siamo “prodotti”. Nello specifico l’obiettivo è quello di problematizzare una visione essenzialista della cultura, che rischia di riprodurre nuove forme di razzismo, non più in termini biogenetici, ma nella forma più sottile dell'assunzione delle differenze culturali come strumento lineare per spiegare il prodursi della sofferenza, configurando un possibile e problematico occultamento della matrici materiali e sociali della malattia, cosi come della sua dimensione di implicita critica all’ordine sociale, ai rapporti di forza e alle forme di violenza presenti in ogni contesto, in ogni cultura.
I contenuti del corso si orienteranno su tre assi principali.
l primo di ordine storico/genealogico/epistemologico: esso considererà il percorso di sedimentazione delle discipline psicologico-psichiatriche con l’occhio attento a leggere la sofferenza psichica non come un dato di fatto naturale, ma come una costruzione storico-culturale che si dà dentro ad una rete di forze sociali e di rapporti egemonici, che si riproducono anche attraverso le pratiche di cura. L’evento coloniale – con le trasformazioni psichiche e culturali che ha determinato, le peculiari modalità di rappresentazione dell’alterità che ne sono scaturite, le nuove forme di soggettività che ha contribuito a far emergere – si colloca al centro dell’interesse di questo primo filone.
Il secondo asse sarà più squisitamente antropologico ed etnografico ed indagherà le modalità di costruzione della malattia mentale, delle strategie di cura e dell’efficacia terapeutica in contesti culturali non occidentali: approfondendo lo studio delle medicine tradizionali, esplorando le eziologie e le categorie nosografiche di culture cosiddette “altre”, ed infine “tornando a casa” ed analizzando anche le teorie e le pratiche di cura occidentali come culturalmente determinate.
Nel terzo asse verrà affrontata la complessità che la questione migratoria introduce oggi nelle nostre società: esso proverà ad articolare una riflessione che assuma l’impatto della dimensione sociale dentro la pratica clinica. All’interno di questo ambito si intrecceranno questioni epistemologiche ed antropologiche con interrogativi giuridici e morali (che cosa è un cittadino, un rifugiato, un clandestino?). Il soggetto migrante, nell’impatto con i contesti di arrivo, può sperimentare fragilità e crisi il cui prender forma può, certo, essere tributario dei mondi culturali di appartenenza, ma che è ben lontano dall’essere spiegabile nei termini del cosiddetto “shock culturale”: le scienze sociali ne restituiscono una lettura densa, alla quale queste forme della crisi si rivelano come l’incorporazione di processi sociali e geopolitici ben più ampi.
Il corso prevede lezioni frontali, svolte con modalità interattive e con un’attenzione particolare al confronto e al dialogo con gli studenti. Verranno inoltre discussi dei cases studies, a partire da materiale sia clinico che etnografico. Sarà infine proposta la visione, e successivamente guidato il commento, di alcuni film documentari paradigmatici, contenenti materiale utile ad un migliore comprensione degli argomenti trattati nel corso delle lezioni.
La prova d’esame si svolgerà in forma orale. Nell’attribuzione del voto si terrà conto dei seguenti elementi: qualità delle conoscenze; coerenza dell’argomentazione e proprietà espressiva; capacità di sviluppare un punto di vista personale e critico sui contenuti del corso.
Qualora l’insegnamento venisse impartito in modalità mista o a distanza potranno essere introdotte modifiche rispetto a quanto dichiarato nel syllabus per rendere il corso e gli esami fruibili anche secondo queste modalità.